L’arco del piede e l’energia della locomozione umana

La corsa è stata classicamente caratterizzata dal paradigma del sistema costituito da una molla e un peso: durante la corsa, l’energia potenziale gravitazionale e cinetica viene temporaneamente immagazzinata come energia di deformazione elastica, principalmente nei tendini durante la prima metà della fase di appoggio, e successivamente restituita nella seconda metà della fase di appoggio, contribuendo a spingere il corpo verso l’alto e in avanti. Questa forma di energia elastica riduce il costo metabolico della corsa risparmiando il lavoro meccanico altrimenti richiesto attivamente dal tessuto muscolare.

L’arco longitudinale del piede è stato identificato come un meccanismo elastico di immagazzinamento-rilascio: simulando su piedi di cadavere i carichi sperimentati durante la corsa, circa il 17% del lavoro meccanico di corsa poteva essere immagazzinato e restituito dall’arco del piede mentre subiva compressione e contraccolpo nella fase di appoggio, contribuendo all’economia della corsa. Questa teoria è stata successivamente adottata in numerosi studi che vanno dall’analisi della meccanica di corsa all’evoluzione della corsa umana e alla progettazione delle calzature. Dalla sua formulazione iniziale, questa ipotesi che il piede sia una molla che risparmia energia non è mai stata testata direttamente durante la locomozione e non è noto fino a che punto la compressione, la successiva conservazione e il ritorno dell’energia elastica nell’arco longitudinale del piede influenzino il costo metabolico della locomozione.

Questo studio propone l’ipotesi che l’energia metabolica risparmiata dall’arco come molla sia una funzione della quantità di lavoro meccanico positivo che fornisce passivamente (non metabolicamente) e il costo per l’esecuzione di questo lavoro sia invece svolto dall’attivazione di muscoli che richiedono energia metabolica. Questa ipotesi è stata testata sperimentalmente utilizzando ortesi plantari realizzate su misura e progettate per limitare la compressione dell’arco e quindi ridurne il lavoro elastico. Per testare le previsioni degli autori sull’effetto della tensione dell’arco sul costo della locomozione, sono state usate ortesi plantari per variare la tensione dell’arco durante la deambulazione e la corsa a diverse inclinazioni e diversi tipi di piede (appoggio di retropiede [RFS] Vs appoggio di avampiede [FFS]).

Per ogni partecipante sono stati progettati due plantari personalizzati distinti: il primo per limitare la compressione dell’arco quasi al massimo rispetto a quella presente durante la corsa con calzature (Full Arch Insole; FAI) e il secondo per limitare la compressione di circa il 50% durante l’appoggio (Half Arch Insole; HAI). Nonostante la differenza di quasi due volte nella compressione dell’arco tra HAI e FAI, i ricercatori hanno ipotizzato che entrambi avrebbero comportato una riduzione comparabile dell’immagazzinamento/rilascio dell’energia elastica durante la corsa e quindi un aumento simile del costo metabolico. Entrambe le ortesi plantari sono state progettate per testare se l’aumento previsto del costo metabolico fosse associato specificamente a una riduzione dell’energia dell’arco plantare rispetto a una più generale modifica dell’andatura legata al grado di restrizione dell’arco. Rispetto alla corsa in piano, la previsione dei ricercatori era che la limitazione della compressione dell’arco durante il cammino e la corsa in discesa non avrebbe avuto un impatto così pronunciato sul costo metabolico. Camminare comporta carichi inferiori, è un’andatura pendolare anziché opposta a un sistema massa-molla e si basa più sul meccanismo del verricello (windlass) dell’arco al contrario de meccanismo dell’arco come molla. I ricercatori hanno quindi ipotizzato che il meccanismo dell’arco come molla abbia un minore effetto di risparmio energetico nella deambulazione rispetto alla corsa e lo hanno testato limitando la compressione dell’arco durante la deambulazione utilizzando il FAI. Durante la marcia in discesa, i carichi sperimentati sono stati simili a quelli della corsa in piano e l’arco è in grado di immagazzinare e restituire l’energia elastica, anche se la produzione aggiuntiva di lavoro meccanico positivo necessario per sollevare il centro di massa verticalmente durante la corsa in discesa non può essere generata dall’energia elastica precedentemente immagazzinata. Era quindi previsto che il costo energetico associato alla limitazione dell’arco come molla rispetto al costo totale della corsa in discesa sarebbe stato inferiore a quello della corsa in piano. Infine, i ricercatori avevano ipotizzato che limitare la compressione dell’arco avrebbe avuto un effetto maggiore sul costo energetico della corsa in piano nei runner FFS rispetto ai runner RFS, suggerendo un maggiore ricorso all’arco come molla per ridurre i costi della corsa.

Per testare questi interrogativi sono stati misurati il costo metabolico (consumo di ossigeno), la compressione dell’arco utilizzando un sistema di acquisizione del movimento tridimensionale (3D), le forze di reazione al suolo e i parametri cinetici delle articolazioni su un tapis roulant con strumentazione adeguata. L’uso di questi dati ha permesso di stimare l’energia elastica immagazzinata e restituita dall’arco, il lavoro meccanico totale della locomozione e il costo metabolico della limitazione dell’immagazzinamento/rilascio dell’energia elastica dell’arco.

Sono stati inclusi nello studio otto runner RFS e nove runner FFS, tutti di sesso maschile, con caratteristiche omogenee per età, altezza, peso, distanza settimanale percorsa correndo, che non avevano subito infortuni nei sei mesi precedenti, che non presentavano anomalie nel cammino, che non usavano plantari e con struttura e misure del piede simili. Tutti i partecipanti hanno indossato durante i test lo stesso modello di scarpa minimale (sulle quali erano stati applicati dei sensori per le rilevazioni), scelto allo scopo di standardizzare il più possibile gli effetti non dovuti ai plantari. I test comprendevano le seguenti condizioni: 1) cammino con solo le scarpe, 2) cammino con FAI, 3) corsa in piano con solo le scarpe, 4) corsa con HAI, 5) corsa con FAI, 6) corsa in discesa con solo le scarpe, 7) corsa in discesa. Tutte le condizioni di corsa venivano eseguite usando l’abituale tecnica di appoggio a terra del piede del runner, come confermato dalle riprese video.

Esaminando l’effetto della limitazione della compressione dell’arco longitudinale del piede sul costo metabolico della locomozione, il presente studio fornisce prove dirette a supporto della teoria dell’arco come molla che risparmia energia metabolica, riducendo il lavoro meccanico che altrimenti sarebbe necessario generare per mezzo dell’attivazione muscolare. L’elevato costo metabolico della corsa in piano, dopo aver limitato la compressione dell’arco quasi al massimo (circa 80%, FAI) e di circa il 60% (HAI), non mostra una differenza chiara tra le due condizioni perché la conservazione dell’energia elastica aumenta non linearmente caricando l’arco, con la maggior parte dell’energia elastica che viene immagazzinata nell’ultimo 25% della compressione dell’arco. Questi dati rafforzano l’interpretazione che l’elevato costo metabolico deriva specificamente dalla perdita dell’energia elastica dell’arco: in entrambe le condizioni FAI e HAI sono state rimosse quantità quasi uguali di immagazzinamento/rilascio di energia elastica dell’arco, con una differenza non significativa nel costo metabolico della corsa.

I valori ottenuti in questo lavoro sono inferiori alle stime di studi precedenti a causa della velocità di corsa più lenta e quindi minor immagazzinamento/rilascio di energia elastica dell’arco plantare e successivi minori carichi compressivi dell’arco. Se il contributo dell’arco plantare come molla al costo meccanico totale della corsa aumenta con la velocità, l’arco può avere un ruolo ancora più pronunciato nella riduzione dei costi  della locomozione a velocità di corsa più elevate. L’arco come molla costituisce un meccanismo di risparmio energetico efficace perché ottiene recupero di energia elastica in gran parte in assenza di attività muscolare, a differenza dell’unità miotendinea tricipite surale/tendine d’Achille che richiede invece energia metabolica per mantenere la tensione della molla. Quindi l’arco come molla potrebbe essere la struttura di risparmio energetico più efficace dell’arto inferiore.

Nonostante la conferma della maggiore compressione dell’arco nei runner FFS rispetto a quelli RFS con scarpa minimale solo nella corsa in piano, l’ipotesi che i runner di avampiede sarebbero più interessati dalla limitazione della compressione dell’arco non era supportata. Era invece prevista dal modello elaborato dai ricercatori la mancanza di differenza nel costo metabolico risultante dalla condizione FAI tra i gruppi di foot strike: i costi metabolici simili previsti nella corsa FAI in RFS e FFS sono sorti a causa di una differenza non significativa tra i gruppi nella riduzione dell’immagazzinamento/rilascio dell’energia elastica dell’arco.

L’ipotesi che il meccanismo dell’arco come molla abbia un effetto minore sul costo energetico del cammino e della corsa in discesa era supportata: per il cammino, il piccolo effetto energetico può essere spiegato in larga misura dal ruolo minore di immagazzinamento/rilascio dell’energia elastica dell’arco nell’andatura normale ed è anche possibile che il FAI aumenti la rigidità del mediopiede e possa quindi aver migliorato l’efficacia del momento di flessione plantare con risparmio di energia metabolica. L’aumento percentuale del costo metabolico della corsa in discesa nel FAI calcolata dal modello era inferiore a quella della corsa in piano nel FAI, ma comunque significativamente maggiore dell’effetto sperimentale osservato. Quando si corre in salita, la funzione primaria del muscolo è quella di generare il lavoro meccanico positivo per sollevare il corpo verticalmente ed è quindi possibile che il riutilizzo dell’energia elastica passiva possa essere meno importante nella corsa in discesa rispetto alla corsa in piano.

Ortesi e calzature con supporto plantare vengono occasionalmente prescritte ai runner per modificare la biomeccanica del piede e diminuire il carico tissutale. I risultati di questo studio suggeriscono che alcuni supporti dell’arco possono interferire con l’immagazzinamento di energia elastica dell’arco e successivamente portare ad un aumento del costo energetico della corsa, effetto riportato da numerosi studi sebbene in parte possa essere dovuto all’aggiunta di peso. I benefici dell’utilizzo di plantari correttivi o calzature progettate con un significativo supporto dell’arco dovrebbero quindi essere valutati rispetto al loro possibile effetto sull’energia della corsa. Al contrario della corsa, i risultati di questo studio suggeriscono che l’uso di scarpe o plantari  di supporto rigidi, che impediscono l’appiattimento dell’arco plantare, hanno poche conseguenze energetiche durante il cammino, dato il minor ricorso a e minore riduzione nell’immagazzinamento e rilascio dell’energia elastica.

L’evoluzione dell’arco longitudinale del piede è considerata come un adattamento chiave per il bipodalismo degli ominidi. Sebbene l’evoluzione dell’arco sia dibattuta, recenti prove fossili suggeriscono che l’Australopithecus afarensis (vissuto circa 3,2 milioni di anni fa) possedeva almeno un arco longitudinale parziale. Il significato funzionale dell’arco longitudinale nell’evoluzione dell’andatura bipede umana è stato spesso attribuito al sistema di leva rigida medio-tarsale che consente un’efficace flessione plantare durante la fase di toe-off. Una teoria complementare che riguarda l’evoluzione dell’arco longitudinale è che le sue proprietà di molla riducono il costo energetico della corsa di resistenza e questo studio supporta il funzionamento dell’arco sia come una leva rigida nel cammino che come una molla che risparmia energia nella corsa. I plantari non hanno avuto alcun effetto sul costo metabolico del cammino nonostante la limitazione dell’80% della compressione dell’arco. L’assenza di qualsiasi differenza energetica potrebbe risultare in parte perché i plantari miglioravano l’effetto della rigidità del mediopiede nel cammino. D’altra parte la limitazione della funzione di molla dell’arco nella corsa in piano ha comportato un netto aumento del costo metabolico. La conseguenza energetica della limitazione dell’arco durante la corsa in piano e non nella corsa in discesa può offrire un’ulteriore comprensione del comportamento nel movimento e dell’ambiente dell’Homo primitivo. Il paesaggio abitato dall’Homo primitivo non era invariabilmente limitato al terreno in pianura, anche se l’arco forniva solo un vantaggio energetico nella corsa in piano e non in discesa pone domande su come il paesaggio abbia influenzato l’evoluzione del piede umano e l’andatura bipede e come l’Homo primitivo si muovesse in questo paesaggio.

Stearne SM, McDonald KA, Alderson JA, North I, Oxnard CE, Rubenson J. The Foot’s Arch and the Energetics of Human Locomotion. Sci Rep. 2016 Jan 19;6:19403.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26783259

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