La demonizzazione della terapia manuale
Negli ultimi anni la critica alla terapia manuale si è inasprita a tal punto che il fisioterapista e professore Dr. Chad E. Cook ha definito questa corrente di pensiero “demonizzazione”.
Egli identifica otto differenti aspetti di questa corrente di pensiero, analizzandoli alla luce dell’attuale letteratura scientifica. Lo scopo di questo lavoro di sintesi è quello di accendere la discussione, dissipare falsi presupposti e restituire ai pazienti una terapia basata sull’evidenza.
L’autore ritiene che in medicina, non di rado, quando una cosa non piace o non è compresa viene demonizzata. La storia è ricca di esempi in tale senso: il “ridicolo iniziale” del lavaggio antisettico delle mani, l’angioplastica coronarica percutanea transluminale, le relazioni tra virus e cancro, il contributo dei batteri nello sviluppo delle ulcere e il ruolo dell’ereditarietà nello sviluppo delle malattie. Per ciascuno di questi esempi, gli scettici hanno tentato di screditare il presupposto concettuale pur non avendo prove a sostegno delle loro affermazioni. L’obiettivo di questo tipo di atteggiamento era la demonizzazione.
Demonizzare: ritrarre come malvagio o minaccioso
Taluni dubbi e certe opinioni popolari hanno fomentato la condanna della terapia manuale da parte di molti colleghi. I presupposti critici più ricorrenti implicano l’idea che non vi siano effetti specifici associati alla terapia manuale e che questa induca fidelizzazione e dipendenza. Ciò favorirebbe, al contempo, l’idea che esista un’associazione tra temporanei effetti antalgici e necessità di prosecuzione della terapia, portando a spreco di tempo, denaro e a una minore autoefficacia.
Certi detrattori della terapia manuale ritengono che questa produca solo cambiamenti a breve termine e che questi non si mantengano nel lungo termine. Altri hanno la preoccupazione che gli interventi di terapia manuale siano basati su filosofie obsolete, sbagliate, elitarie e inutilmente separatiste. Si è giunti a insinuare che alcuni terapisti manuali siano carenti di qualità comunicative ed empatiche nelle loro strategie di gestione della patologia. Si è arrivati a sostenere che la terapia manuale, poiché coinvolge tecniche passive, non si adatta al paradigma della cura basata sul valore e che non solo non sia sicura ma esprima anche un certo grado di pericolosità. Infine, un’altra narrazione ritiene che i terapisti manuali non siano in grado di identificare candidati specifici per il loro trattamento, insinuando una certa idea d’inefficacia.
Demonizzazione 1): la terapia manuale non ha effetti specifici
Questa “demonizzazione” è la più facile da sfatare: gli effetti sono “specifici” rispetto alla richiesta fatta dal paziente. In letteratura il tema è stato analizzato in molteplici studi. In generale, gli effetti più comuni sono associati alla modulazione del dolore, che è il processo con cui il corpo altera un segnale algico trasmesso da un sito corporeo e trasportato lungo vie nervose dedicate. Poiché il dolore è regolato e trasmesso all’interno del corpo da molteplici strutture neuronali, è facile intuire che esistono altrettanti meccanismi di modulazione (ad esempio, esercizio, tecniche manuali, farmaci, interventi mente-corpo).
Studi scientifici hanno dimostrato che le tecniche di terapia manuale aumentano l’arachidonoiletanolammide, la N-palmitoiletanolamide (entrambi cannabinoidi), le B-endorfine (compresa la dinorfina), l’orexina-A e diminuiscono la neurotensina. Inoltre, la terapia manuale media i livelli di serotonina, norepinefrina, adenosina e altri neurotrasmettitori non-GABA. Un recente modello teorico suggerisce che l’azione meccanica della terapia manuale avvia una cascata di risposte neurofisiologiche dal sistema nervoso periferico e centrale che sono poi responsabili di effetti meccanici e clinici.
In sintesi, c’è così tanta letteratura sugli effetti specifici indotti dalla terapia manuale sulla modulazione del dolore che è incomprensibile il motivo per cui qualcuno dovrebbe sostenere il contrario.
Demonizzazione 2): l’uso della terapia manuale porta alla fidelizzazione e alla “dipendenza” del paziente con conseguente basso senso di autoefficacia
Molto probabilmente, questa supposizione si basa su un costrutto teorico che fa un parallelo tra disturbi psicologici e dipendenze da cibo, droghe e alcol. Cook sostiene che non vi siano prove a sostegno di questa ipotesi. Di fatto, interrogando la letteratura pubblicata non si trova un singolo studio che indaghi o stabilisca un nesso di causalità rispetto all’assunto. In altre parole, non c’è alcuna prova scritta a sostegno di questa supposizione. Egli ritiene che l’idea abbia preso forza grazie all’ “effetto di reiterazione”, che è la tendenza a credere che le informazioni false siano corrette dopo una esposizione ripetuta.
Inoltre, ad oggi, non ci sono studi che dimostrino che la terapia manuale porta a una minore autoefficacia del paziente. Il concetto di autoefficacia si riferisce all’attitudine di un individuo di credere nella propria capacità di realizzare quei comportamenti necessari al raggiungimento di specifiche prestazione. Si tratta di un costrutto complesso ed è improbabile che sia mediato dall’uso della terapia manuale. Di fatto, è più ragionevole il contrario e cioè che gli individui con bassa autoefficacia cerchino interventi di natura passiva anche rispetto ai meccanismi di modulazione del dolore. In sintesi, la terapia manuale non induce bassa efficacia, ma gli individui con bassa efficacia sono più propensi a cercare farmaci analgesici, attività passive e, potenzialmente, terapie manuali.
Demonizzazione 3): la terapia manuale fornisce solo cambiamenti nel breve termine che non corrispondono a cambiamenti nel lungo termine
In effetti, le tecniche di terapia manuale hanno effetto nel breve termine e questo è stato esplorato in modo esaustivo da un gran numero di studi. La capacità d’indurre rapidi cambiamenti può essere, inoltre, legata alla capacità endogena di modulazione del dolore del paziente, un termine altresì noto come “comportamento adattivo al dolore”. Essere adattivo al dolore significa che una persona ha la capacità (endogena, all’interno del suo corpo), di modulare il dolore senza l’aiuto di interventi medici.
A ciò va aggiunto che i cambiamenti nel breve termine sarebbero prodromici di una buona prognosi. Numerosi studi hanno verificato che un cambiamento precoce e contiguo alle sessioni di trattamento è legato a una prognosi migliore rispetto a coloro che non mostrano un cambiamento tra una sessione e l’altra (vedi riferimenti su articolo originale). Questa constatazione implica che vi possa essere una variazione positiva o negativa all’interno di una stessa sessione di trattamento o tra diverse sessioni. Il clinico utilizza gli outcome intra-sessione e inter-sessione per regolare dosaggio e intensità del trattamento al fine di ottimizzare il risultato finale.
È importante riconoscere che questi studi includono la terapia manuale come tecnica di trattamento primario ma non includono una tecnica di controllo che verifichi la specificità dei singoli interventi (vedi riferimenti su articolo originale). Di conseguenza, se da una parte è opportuno evidenziare che il “cambiamento precoce” ha un valore prognostico, dall’altra è corretto affermare che la specificità del cambiamento rispetto ad un determinato intervento richiede ulteriori studi.
Demonizzazione 4): le tecniche di terapia manuale sono basate su filosofie obsolete, inappropriate e sviluppate per sostenere le teorie di un guru
Purtroppo, questa demonizzazione è in gran parte vera. IFOMPT ha fornito una dettagliata definizione di terapia manuale: “movimenti manuali qualificati volti a produrre uno o tutti i seguenti effetti: migliorare l’estensibilità dei tessuti, aumentare il range di movimento, mobilizzare o manipolare tessuti molli e articolazioni, indurre il rilassamento, condizionare la funzione muscolare, stabilizzare il complesso articolare, modulare il dolore, ridurre il gonfiore dei tessuti molli, l’infiammazione e la restrizione del movimento”. Ciononostante questa definizione è caratterizzata da una serie di interpretazioni difformi. Esistono molteplici filosofie associate ai metodi di terapia manuale sia all’interno che tra le professioni. Purtroppo, spesso i sostenitori di questi concetti rivestono di sacralità dogmatica i presupposti teorici. Inoltre, molte delle teorie tradizionali non hanno retto a un’indagine scientifica moderna. Concetti come la regola concavo-convesso, il test di tensione isometrica, i modelli capsulari di Cyriax, la classificazione degli end-feel di Cyriax, il modello della colonna vertebrale e la valutazione dei movimenti intervertebrali accessori passivi mancano di accordo tra i clinici o di validazione. Inoltre, concetti come “sublussazione” non hanno dimostrato valitidità al di fuori dei precetti filosofici che ne rappresentano il presupposto teorico.
Il quadro filosofico dogmatico di molti approcci e il loro fallimento nell’adattarsi a una comprensione “moderna” dei meccanismi d’azione ha influenzato il modo in cui i clinici percepiscono la terapia manuale come strumento d’intervento. Ciò ha conferito ai terapisti manuali lo stigma di essere settari, elitari e obsoleti.
Le filosofie devono adattarsi alle evidenze emergenti e separarsi da concetti datati creati in assenza di verifica scientifica. Questo porterà, probabilmente, ad un’omogeneizzazione dei concetti di terapia manuale che saranno trasferibili alla pratica clinica indipendentemente dalla propria formazione.
Demonizzazione 5): i terapisti manuali mancano di abilità comunicative, empatiche e di rassicurazione
Questa demonizzazione è altamente improbabile. Nella maggior parte dei casi, i clinici sono altamente motivati, appassionati della loro professione, votati alla salute dei pazienti e con una formazione supplementare associata alla neuroscienza del dolore che contiene concetti aderenti ai valori di comunicazione, rassicurazione ed empatia, indispensabili al conseguimento della qualifica di terapista manuale. A ciò va aggiunto il grosso bagaglio esperienziale che questi sono costretti a maturare per completare il percorso formativo. Negli Stati Uniti, la maggior parte dei terapisti manuali è certificato da commissioni preposte. Questi professionisti sono più inclini a seguire le linee guida nel contesto della loro pratica clinica. Nei Paesi Bassi, i terapisti manuali hanno da tempo spostato la loro attenzione clinica su metodi di gestione basati sulle evidenze. La recente letteratura scientifica raccomanda la combinazione di educazione alle neuroscienze del dolore, terapia manuale ed esercizio terapeutico.
Demonizzazione 6): la terapia manuale non rientra nella “cura basata sul valore”
Per definizione, l’assistenza basata sul valore si riferisce ai servizi sanitari che connettono direttamente le prestazioni effettuate ai costi, alla qualità e all’esperienza di cura percepita dal paziente (vedi: Value-based Care). In un’economia sanitaria basata sul valore, il rapporto costo-utilità degli interventi rivolti ai disturbi muscoloscheletrici può essere utilizzato per determinare una distribuzione appropriata delle risorse verso interventi di maggior valore. Si ritiene che gli approcci attivi abbiano maggiori “livelli di valore” nei pazienti con disturbi muscoloscheletrici, tuttavia questo suggerimento è fatto senza una reale comprensione del ruolo dell’esperienza di cura del paziente.
L’esperienza del paziente è altamente correlata ai risultati riferiti dal paziente stesso ed è marcatamente condizionata dalla gestione delle variabili in gioco durante il percorso riabilitativo.
A ciò va aggiunto che il ruolo del “tocco umano” sull’outcome del paziente è del tutto incompreso. Le tecniche manuali sono analgesiche, emozionali e somatopercettive. Il riconoscimento del valore terapeutico del tocco come atto professionale qualificato da parte del fisioterapista è necessario anche per garantire ai pazienti il miglior trattamento basato su evidenze scientifiche.
Demonizzazione 7): la terapia manuale causa tanto danno quanto aiuto
Per definizione, i danni includono reazioni avverse ed effetti indesiderati. I danni possono essere classificati come “nessuno”, “minori”, “moderati”, “severi” e “gravi”.
La maggior parte degli interventi di terapia manuale può presentare danni, tipicamente minori, che sono definiti come “temporanei e non pericolosi per la vita ma che, potenzialmente, possono richiedere una valutazione aggiuntiva delle condizioni del paziente, ad esempio monitoraggio”. Fino ad un 20-40% degli individui riferisce eventi avversi minori dopo somministrazione di terapia manuale, i più comuni dei quali sono rappresentati da indolenzimento muscolare, aumento del dolore, rigidità e stanchezza. I danni più gravi sono infrequenti se non rari e possono indurre problemi neurologici secondari a ictus arteriosi vertebrali. È fondamentale sottolineare quanto siano rari questi eventi: le stime di incidenza di eventi avversi gravi variano da 1 per 2 milioni di manipolazioni a 13 per 10.000 pazienti.
Demonizzazione 8): non possiamo identificare i candidati ideali per la terapia manuale, il che significa che le varie tecniche non sono necessarie
Si presume che se non possiamo identificare i candidati ideali per un intervento specifico, allora quell’intervento non è necessario. Questo è un errore di estrapolazione.
Il motivo per cui non possiamo identificare candidati specifici per le nostre scelte di trattamento è legato alla teoria del meccanismo condiviso. Con i meccanismi condivisi, indipendentemente dall’approccio utilizzato, sembrano esserci risposte condivise in cui tutti rispondono in modo abbastanza simile e i risultati sono essenzialmente gli stessi indipendentemente dal trattamento applicato. I meccanismi condivisi sono il motivo per cui vediamo spesso trial nulli quando si valutano gli interventi. Questo fenomeno è stato introdotto per la prima volta nel contesto della letteratura psicologica. I meccanismi condivisi suggeriscono che non esiste un intervento superiore.
Il “non-detto” segreto che dobbiamo riconoscere come clinici è che la maggior parte dei nostri approcci muscoloscheletrici produce risultati simili.
Uso razionale della terapia manuale
Attualmente non esistono “proiettili d’argento” nella gestione dei pazienti con problematiche muscoloscheletriche e la terapia manuale non fa eccezione. Tuttavia, se usata correttamente, può essere un’opzione efficace per la modulazione del dolore.
La terapia manuale può essere efficace su pazienti adattivi al dolore e che non abbiano particolari credenze sulla loro condizione o disturbi legati al dolore stesso meglio gestibili con altri approcci. Inoltre, l’uso a lungo termine della terapia manuale è un esempio di cattiva gestione delle risorse. Nella migliore delle ipotesi, la modulazione iniziale del dolore consta di 2-4 visite per poi progredire verso un trattamento che sia più attivo.
L’uso della Terapia Manuale dovrebbe avere la stessa considerazione teorica dell’uso degli analgesici. Questi forniscono un sollievo dal dolore a breve termine che permette di progredire nelle attività quotidiane e nell’eventuale esercizio terapeutico. La terapia manuale può fare lo stesso ma, con ogni probabilità, non sarà sufficiente da sola. Da queste considerazioni deriva la necessità di un approccio curativo multimodale la cui efficacia sarà legata alle aspettative del paziente.
Concludendo possiamo affermare che nell’ultimo decennio la terapia manuale è stata inopportunamente demonizzata oltre che associata a supposizioni imprecise e a false speculazioni sostenute e fatte proprie da molti clinici. L’articolo ha analizzato criticamente otto dei più comuni presupposti che hanno affossato la terapia manuale identificando errori concettuali in sette di questi. L’autore invita la “comunità fisioterapica” a rivalutare attentamente la propria posizione relativamente alla terapia manuale e a riconsiderare il valore di un approccio basato sull’evidenza scientifica.
Chad E. Cook The Demonization of Manual Therapy. Muskuloskelettale Physiotherapie 2021; 25: 125–132
https://www.thieme-connect.com/products/ejournals/journal/10.1055/s-00049852
Fisioterapista, MSc, OMPT
andrea fusco
Alcune scuole di T M. in italia sono impegnate nel completare il bagaglio di competenze del terapista negli ambiti dell’esercizio terapeutico e della modulazione centrale del dolore. Bisogna proseguire su questa strada