Il ruolo del sistema nervoso centrale nella tendinopatia della cuffia dei rotatori

1

Il termine tendinopatia è utilizzato per descrivere il dolore e/o la patologia del tendine. Nonostante una presentazione clinica ampiamente descritta, l’eziologia della tendinopatia della cuffia dei rotatori non è ancora stata definita. Negli ultimi anni l’attenzione è stata rivolta alla comprensione del dolore nelle tendinopatie con una prospettiva basata sulla patologia tissutale locale, ma alla luce della dissociazione tra il dolore e la patologia è emersa la necessità di nuovi modelli interpretativi.
L’obiettivo di questo articolo è stato presentare un’ampliamento teorico dei modelli attuali integrando il ruolo del sistema nervoso centrale (SNC) nell’esperienza del dolore. Un obiettivo secondario è stato dare un razionale potenziale per chiarire la risposta positiva agli esercizi terapeutici con carico, per spiegare il dolore ai pazienti e per individuare strategie di trattamento appropriate.
I modelli basati sulla patologia tissutale comunemente proposti sono contestati per una debole associazione tra la patologia e il dolore. Ad esempio, la risonanza magnetica non può distinguere tra i soggetti con diagnosi di impingement subacromiale e i soggetti asintomatici; il 40% della popolazione asintomatica presenta una lesione della cuffia dei rotatori; la diagnosi biomedica basata sul tessuto patologico non è sempre associata con gli outcome clinici; le alterazioni strutturali non spiegano il miglioramento degli outcome clinici con l’esercizio terapeutico senza modificazioni della patologia tissutale.
Altri autori hanno proposto un modello basato su alterazioni biochimiche locali per spiegare la presenza del dolore nelle tendinopatie. Anche se questo modello potrebbe avere un potenziale per migliorare la comprensione e la gestione delle tendinopatie, come il modello basato sulla patologia tissutale locale non considera il ruolo del SNC e il fatto che la nocicezione non è ne sufficiente ne necessaria per l’esperienza del dolore.
Le conoscenze attuali suggeriscono la presenza di altri meccanismi coinvolti nel dolore associato alla tendinopatia, associati o meno ai modelli descritti in precedenza. Il dolore associato alla tendinopatia della cuffia dei rotatori, che persiste oltre il tempo previsto di recupero, dovrebbe essere valutato considerando le alterazioni dei processi di elaborazione e di modulazione degli output del SNC e non esclusivamente come conseguenza di input nocicettivi periferici secondari a alterazioni strutturali.
In presenza di una sensibilizzazione centrale, un input non nocivo, ad esempio sollevare un braccio, può contribuire a un output doloroso. Sebbene la sensibilizzazione centrale sia spesso descritta come una conseguenza di un danno tissutale, è ampiamente dimostrato che questo stato può persistere in assenza di input afferenti persistenti, situazione descritta come memoria del dolore da Gifford. Questo aspetto riflette la plasticità e l’adattabilità del SNC.
Il dolore come output, in risposta a una minaccia, rappresenta un meccanismo di difesa utile in alcune condizioni acute per limitare un danno potenziale, ma è inutile in situazioni dove un’alterazione dell’interpretazione del dolore rappresenta un ostacolo al recupero. Il dolore è un prodotto dell’elaborazione e della modulazione del SNC, a livello del midollo spinale e del cervello, modulato da latri fattori come i pensieri, le credenze e il contesto sociale, e non necessariamente riflette la condizione strutturale dei tessuti periferici.
Per facilitare la comprensione e l’implementazione di questi concetti, Gifford ha proposto il mature organism model (MOM). Secondo questo modello, il SNC elabora gli input in relazione alle esperienze, alle credenze, alla cultura e al contesto prima di generare un output. Questa elaborazione ha la potenzialità di creare una condizione per il recupero o meno. Ad esempio, nel caso dell’impingement subacromiale, è possibile che un tessuto già decondizionato si decondizioni ancora di più se i segnali di dolore sono interpretati come un danno tissutale imminente e quindi evitati.
Quindi, perché il SNC dovrebbe generare un output doloroso non direttamente associato allo stato patologico del tessuto? Questo fenomeno potrebbe essere spiegato come un output doloroso protettivo del SNC in risposta a una minaccia percepita a un tessuto decondizionato, tessuto quindi con una capacità ridotta di effettuare determinati compiti motori. E’ importante sottolineare che un tessuto decondizionato non è obbligatoriamente degenerato, sebbene un tessuto degenerato possa essere decondizionato e i tessuti che hanno subito una lesione possono diventare decondizionati.
La causa di una cuffia dei rotatori decondizionata può essere analizzata utilizzando il modello biopsicosociale. In termini biologici, la scarsa vascolarizzazione, il carico meccanico eccessivo e lo scarso utilizzo (ad esempio per uno stile di vita sedentario) possono essere rilevanti. In termini psicologici, i comportamenti, le esperienze e le credenze potrebbero contribuire a percepire questo decondizionamento. Da una prospettiva sociale, il contesto e il ruolo dei professionisti sanitari e delle indagini strumentali possono contribuire al mantenimento di questa condizione. E’ possibile che la combinazione di questi fattori biopsicosociali contribuisca alla percezione e alle risposte dolorose di ciascun individuo.
E’ stato ipotizzato che i tendini abbiano la capacità di rispondere agli stimoli meccanici. Il termine meccanoterapia è stato infatti coniato per descrivere come un programma di esercizi sia in grado di stimolare i tessuti e modificare il decondizionamento dei tendini, aumentando ad esempio la capacità della cuffia dei rotatori di resistere a carichi e stress maggiori. Ciò nonostante, il carico ottimale per stimolare un ricondizionamento non è ancora stato definito, ma gli studi recenti hanno incoraggiato la scelta del carico in relazione alla modificazione dei sintomi durante l’esecuzione di esercizi con dolore. Una scelta appropriata del carico nell’esercizio terapeutico potrebbe avere un impatto a livello dell’elaborazione degli input da parte del SNC, con un conseguente output modificato. Da un punto di vista biopsicosociale, effettuare di esercizi con un carico che produce dolore evidenzia ancora una volta come sentir male non equivale a danneggiare un tessuto. In alcuni casi, sentir male durante l’esecuzione degli esercizi terapeutici ha la potenzialità di ristrutturare il significato del dolore. In questo contesto, chiaramente, la prescrizione di un carico che provoca dolore durante l’esecuzione degli esercizi non deve rappresentare una minaccia per il SNC, in termini di un output molto doloroso e prolungato. In pratica, ciò richiede che i pazienti comprendano il motivo degli esercizi proposti e che sentir male nel loro caso non equivale a danneggiare un tessuto e, ovviamente, richiede una comprensione di una risposta dolorosa accettabile dal paziente.
Da una prospettiva sociale, la proposta di esercizio in questo modello mette in discussione gli approcci diagnostici e terapeutici che favoriscono la paura del movimento, ad esempio “il dolore è un segnale di un aggravamento del danno ai tessuti, di conseguenza non effettuare quel movimento se senti dolore”.

Littlewood C, et al. The central nervous system–an additional consideration in ‘rotator cuff tendinopathy’ and a potential basis for understanding response to loaded therapeutic exercise. Man Ther. 2013 Dec;18(6):468-72.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23932100

 

Hai domande, suggerimenti o riferimenti a studi scientifici interessanti? Condividili con un commento!