Esiste un’associazione tra sintomi otologici e disturbi temporomandibolari?
La diagnosi e la gestione dei sintomi otologici nei soggetti con disturbi temporomandibolari (TMD) costituiscono un sfida per odontoiatri, specialisti di dolore orofaciale e otorinolaringoiatri. La patogenesi di TMD è multifattoriale e, da soli o in combinazione con altri disturbi, fattori biologici, comportamentali, ambientali, sociali, emozionali e cognitivi sono riconosciuti come critici nello sviluppo di queste condizioni.
I TMD affliggono le donne in rapporto quasi doppio rispetto agli uomini, si possono presentare a qualunque età ma sono più comuni nei soggetti giovani e adulti di mezza età che nei bambini e negli anziani, con manifestazioni più comuni quali dolore miofasciale con o senza limitazione nell’apertura della bocca, spiazzamento del disco e disturbi infiammatori degenerativi.
La gestione di TMD richiede un approccio multimodale che include rassicurazione e counseling del paziente, riposo, calore, fisioterapia, terapia farmacologica, ortesi orali (bite) e infiltrazioni. In aggiunta la componente biopsicosociale dovrebbe essere affrontata appropriatamente per raggiungere i migliori risultati.
La prevalenza di segni e sintomi otologici nella popolazione con TMD è alta, con pienezza auricolare come sintomo più frequentemente riferito, seguito da otalgia, acufene, vertigini, ipoacusia, talvolta anche prurito. Tuttavia i meccanismi alla base di una potenziale associazione diretta o indiretta, se presente, così come la gestione del trattamento di questi pazienti continua ad essere oggetto di dibattito e controversia. Oltre ad essere ben informati e aggiornati sullo screening, la diagnosi e la gestione di TMD, gli odontoiatri e gli specialisti orofacciali dovrebbero collaborare strettamente con un otorinolaringoiatra in grado di diagnosticare e gestire in modo ottimale qualsiasi sintomo otologico riportato da questi pazienti che potrebbe insorgere a causa di una disfunzione primaria dell’orecchio. Lo scopo di questo articolo è stato quello di fornire una revisione su questo argomento.
Pienezza auricolare
La pienezza auricolare è la sensazione di orecchie congestionate, intasate o imbottite, con o senza problemi di udito, che possono persistere nonostante starnuti, sbadigli o deglutizione. Può derivare da una disfunzione degli organi uditivi periferici nell’orecchio esterno, medio o interno. Gli studi suggeriscono che, in assenza di qualsiasi patologia otologica, come un’infezione, la pienezza auricolare potrebbe essere il risultato di una disfunzione neuromuscolare dell’orecchio medio dovuta alla coesistenza di TMD, in particolare la banda tesa di un trigger point miofasciale nello pterigoideo mediale.
In uno studio prospettico di coorte che aveva incluso 112 pazienti con pienezza auricolare come principale o unico sintomo, risultati nella norma all’esame ontologico e audiometrico e con normale sistema dell’orecchio medio ma segni e sintomi di TMD (a carico di muscoli, disco o articolazione), il 90% aveva beneficiato del trattamento di TMD fino alla completa risoluzione della pienezza auricolare, in particolare nei soggetti con disturbi di tipo muscolare e la fisioterapia era stata il trattamento più efficace. In un altro studio su 24 pazienti, la risonanza magnetica aveva associato la pienezza auricolare (esclusa ogni altra diagnosi specifica a carico dell’orecchio) con patologie dell’articolazione temporomandibolare (ATM), con o senza segni e sintomi di TMD, nei quali la pienezza auricolare migliorava dopo trattamento di TMD.
Otalgia
Gli organi dell’udito sono l’epicentro dei disturbi dolorosi primari dell’orecchio mentre i disturbi dolorosi secondari derivano da strutture esterne all’orecchio. L’otalgia primaria o otogena, che di solito può essere identificata mediante esame fisico e immagini diagnostiche, è più frequente nei bambini. L’otalgia secondaria o riferita, invece, ha una prevalenza maggiore nella popolazione adulta e la sua diagnosi è impegnativa per la complessa innervazione delle orecchie condivisa con altre strutture tra cui testa, collo, torace e addome.
Il dolore riferito alle orecchie potrebbe essere una manifestazione precoce di neoplasie della testa e del collo, quindi è giustificato un rapido invio a un otorinolaringoiatra per le implicazioni potenzialmente gravi di un ritardo nella diagnosi. Dovrebbero essere prese in considerazione anche altre condizioni come disturbi da cefalea primaria, tra cui emicrania ed emicrania parossistica cronica, a causa del loro potenziale di causare otalgia secondaria o riferita.
Molteplici ipotesi sono state proposte per spiegare la patofisiologia dell’otalgia nei pazienti con TMD concomitanti. Si ritiene che il complesso dell’ATM abbia il potenziale di riferire dolore sull’orecchio per la prossimità anatomica, in aggiunta al fatto che alcune strutture condividono la stessa innervazione (nervo auricolotemporale). Sono stati suggeriti inoltre alcuni meccanismi che possono causare dolore e altri sintomi otologici nell’orecchio (parziale perdita di udito, acufene, sensazione di acqua nell’orecchio), quali eccessiva tensione del legamento sfenomandibolare e soprattutto dei muscoli massetere, pterigoideo mediale e laterale, digastrico e temporale, ma sono necessari ulteriori studi per chiarire i meccanismi che causano questi sintomi nei soggetti con TMD.
Acufene
L’acufene è descritto come la percezione di suoni nelle orecchie o all’interno della testa, non attribuiti a nessuna fonte esterna, con presentazione eterogenea che può variare nel tempo e prevalenza che aumenta nei soggetti con coesistente TMD in confronto alla popolazione generale adulta. Ad esordio improvviso o graduale, l’acufene può essere intermittente o costante, sincrono (pulsatile) o asincrono con il battito cardiaco(non pulsatile, più probabilmente causato da TMD rispetto al precedente) e di intensità variabile. Anche disturbi psichiatrici come ansia e depressione, insieme alla privazione del sonno e all’assenza dal lavoro, accompagnano spesso l’acufene nei pazienti, quindi per affrontarlo adeguatamente in questi soggetti è necessaria una valutazione tempestiva di queste comorbilità e conseguenze, nonché la successiva gestione psicoterapica con approcci terapeutici quali terapia cognitivo comportamentale.
L’acufene è classificato come soggettivo (percepito esclusivamente dal soggetto, in assenza di una qualsiasi fonte sonora interna o esterna) o oggettivo (può essere percepito sia dal soggetto che da un osservatore esterno ed ha un fonte fisica all’interno del corpo del soggetto, come ad esempio un’anomalia vascolare), il primo è più comune del secondo e ha un’eziologia multifattoriale complessa. Inoltre è stato coniato il termine “acufene somotosensoriale” per definire quegli acufeni che insorgono in seguito a problematiche cervicali o a TMD e che possono essere eliminati o modulati da mobilizzazioni delle strutture muscoloscheletriche affette. Infine, secondo la nuova classificazione basata sull’eziologia proposta da Tunkel nel 2014, l’acufene dovrebbe essere classificato in primario o idiopatico, per il quale non ci sono cure ma può essere gestito in maniera soddisfacente con trattamenti quali la terapia cognitivo comportamentale, e secondario, causato da una condizione sottostante e che a sua volta può essere distinto in conduttivo e sensorineurale.
Sono state formulate diverse ipotesi basate sull’associazione anatomica di strutture uditive e non uditive coinvolte per spiegare l’alta prevalenza di acufene nei pazienti con TMD, ma ancora questa associazione rimane scarsamente compresa e sono stati proposti altri meccanismi di tipo centrale. Alcuni studi suggeriscono che terapie conservative o reversibili mirate a TMD possono essere efficaci nella gestione dell’acufene, altri autori riferiscono buoni risultati anche con approcci più invasivi quali aggiustamenti occlusali o impianti protesici, sebbene le evidenze siano limitate e datate, oltre a limiti metodologici quali campioni di dimensioni piccole, che portano a un alto rischio di bias. Sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire una conclusione definitiva riguardo all’impatto potenzialmente positivo delle terapie conservative o reversibili di TMD sulla prognosi di acufene nei pazienti con TMD.
Vertigine
La vertigine è una manifestazione di una condizione che interessa il sistema vestibolare e può essere descritta come qualsiasi falso senso di movimento. È classificata come un tipo di capogiro associato a squilibrio, presincope e sensazione di testa leggera. La prevalenza aumenta con l’età e interessa in misura maggiore gli uomini rispetto alle donne, mentre è controversa la prevalenza tra i soggetti con TMD. Nonostante diverse ipotesi siano state proposte, la patofisiologia della vertigine vestibolare nei pazienti con TMD rimane non chiara, oltre al fatto che le le evidenze che supportano queste ipotesi sono datate e scarse e quindi sono necessarie ulteriori ricerche.
Il trattamento di TMD è stato riferito essere efficace nella gestione di dizziness e vertigine vestibolare: uno studio ha ottenuto completa risoluzione di dizziness nel 64% dei pazienti dopo istruzioni sulla autogestione di TMD e terapia orale con bite, un altro studio successivo ha riportato risoluzione di dizziness nel 63% dei pazienti e della vertigine nel 100% dei pazienti dopo terapia conservativa o reversibile di TMD con istruzioni sulla autogestione, esercizi di stretching della mandibola e bite. Purtroppo però questi risultati promettenti necessitano di ulteriori ricerche con campioni più ampi e disegni di studio metodologicamente più omogenei per poter meglio valutare l’impatto potenzialmente positvo di queste terapie nella gestione di vertigine e dizziness.
Ipoacusia
L’ipoacusia può essere classificata come conduttiva, sensorineurale o mista. La prevalenza di questo disturbo nei soggetti con TMD è stimata essere del 39%, ognuna delle tre forme potrebbe essere sviluppata, ma quella sensorineurale rimane la più comune.
Secondo alcuni autori il grado di ipoacusia è correlato alla gravità di TMD, in ogni caso sono state proposte diverse ipotesi per la fisiopatologia di ipoacusia nei pazienti con TMD, inclusa disfunzione del muscolo tensore del timpano secondaria a uno spasmo dei muscoli masticatori che potrebbe comportare variazioni della tensione della membrana timpanica, nonché danni alla cavità dell’orecchio medio, per la connessione di queste strutture con il complesso dell’ATM. È stato proposto anche che la disfunzione del tensore timpanico o del muscolo stapedio potrebbe potenzialmente danneggiare le cellule ciliate situate all’interno dell’organo del Corti nella coclea dell’orecchio interno alterando l’endolinfa e le pressioni perilinfatiche attraverso la finestra ovale, con conseguente compromissione dell’udito. Infine l’ipoacusa conduttiva insieme ad altri sintomi non specifici dell’orecchio come acufene, otalgia, otorrea e pienezza dell’orecchio potrebbero insorgere a causa di erniazione spontanea dell’ATM in quei pazienti con un forame timpanico o un forame di Huschke, una rara variazione congenita della membrana timpanica. Tuttavia sono necessarie ulteriori evidenze di maggiore qualità per confermare queste ipotesi.
Prurito nell’orecchio
Il prurito nell’orecchio di solito è causato dall’irritazione della pelle del condotto uditivo esterno ed è più comunemente osservato in quei pazienti con problemi cutanei come psoriasi e dermatite., oppure può essere esacerbato dall’uso di strumenti di pulizia con punta di cotone. In assenza di otite, il prurito all’orecchio è stato descritto in letteratura come un potenziale sintomo che potrebbe essere sperimentato dai pazienti con TMD, infatti uno studio epidemiologico ha rivelato una prevalenza del prurito nell’orecchio del 79% nella popolazione con TMD, in particolare più alto nelle femmine. Le evidenze scientifiche su questo argomento sono limitate, quindi sono necessarie ulteriori ricerche per confermare o rifiutare l’esistenza di una potenziale relazione.
Conclusioni
Nonostante l’elevata prevalenza di sintomi otologici nella popolazione con TMD, la diagnosi e la gestione di questi sintomi continuano ad essere un argomento controverso e una sfida tra odontoiatri, specialisti di dolore orofacciale e otorinolaringoiatri. Sebbene i sintomi otologici e i TMD sembrino essere condizioni di comorbilità, una relazione causale rimane non supportata dalla letteratura basata sull’evidenza, quindi è necessaria una diagnosi differenziale completa per determinare l’eziologia dei sintomi otologici e fornire al paziente con TMD un piano di gestione adeguato.
Non c’è consenso sulla gestione dei sintomi dell’orecchio quando coesistono con TMD, ma l’evidenza scientifica suggerisce che la terapia conservativa o reversibile di TMD potrebbe essere un approccio efficace che fornisce un sollievo significativo o addirittura completo, che potrebbe essere semplicemente una coincidenza con il trattamento. Tuttavia le evidenze sono poche e scarse, quindi sono necessarie ulteriori ricerche con campioni di dimensioni maggiori e disegni metodologici più omogenei.
Fino a quando evidenze di questo tipo non saranno disponibili, odontoiatri e specialisti di dolore oro-facciale dovrebbero trattare i pazienti con TMD utilizzando le linee guida attuali e indirizzare quelli con sintomi otologici a un otorinolaringoiatra per la valutazione e il trattamento, se necessario. Data la comprensione limitata di questi sintomi e l’ampia gamma di potenziali eziologie, la risoluzione dei sintomi otologici nei pazienti trattati per problemi di TMD è imprevedibile, quindi non è saggio aumentare le aspettative dei pazienti che i loro sintomi otologici si possano risolvere necessariamente con il trattamento di TMD.
Hernández-Nuño de la Rosa MF, Keith DA, Siegel NS, Moreno-Hay I. Is there an association between otologic symptoms and temporomandibular disorders?: An evidence-based review. J Am Dent Assoc. 2021 Nov 16:S0002-8177(21)00514-6.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34799013/
Fisioterapista, MSc, OMPT
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